Approfondimento: I mestieri della satira
Ho voluto fare un piccolo approfondimento sui mestieri citati nell'Insegnamento di Khety, al fine di far capire (a chi interessa), alcuni lati oscuri del testo che mi avevano lasciato un po' interdetto.
Il nome dei lavoratori è spesso un nome relativo (nisbe) della materia lavorata.
Lo scalpellino

L'orefice

Il testo li cita in modo fugace, si limita ad indicare che allo studente da scriba, bambino, si affidano messaggi, ritenendolo degno di fiducia; non si affidano, invece, messaggi ad orefici o scalpellini adulti; quindi lo scriba fin da bambino avrà l'alto onore di consegnare messaggi di persone importanti a differenza di chi fa lavori manuali.
PS: la n sopra Y1 di nbwy è considerato un segno ridondante.
Il fabbro

La traduzione è data dal primo simbolo che ci indica qualcuno che ha a che fare col metallo e dal contesto. La Satira evidenzia la vicinanza col fuoco della fornace che lo fa sudare e, dunque, puzzare come alimenti marci (uova e pesce sono gli alimenti che quando avariati puzzano in modo nauseante); la vicinanza col fuoco, inoltre, causa ustioni alle mani del fabbro, le cui cicatrici rendono la pelle delle sue mani come quella del coccodrillo, frastagliata e coriacea.
Il falegname

Del falegname la Satira fa riferimento al movimento ritmico di colpire con l'accetta l'asse di legno, paragonandolo a chi zappa la terra: "il suo campo è di legno, i suoi attrezzi sono di rame".
Ma non è tutto: per questo estenuante lavoro il falegname non viene pagato a sufficienza, deve dunque lavorare in modo continuo e nonostante sia stanchissimo deve comunque continuare a lavorare; neanche la notte può riposarsi, infatti "la notte la sua casa è illuminata"; in un certo senso è prigioniero del proprio lavoro.


Falegnami al lavoro e relativi strumenti. (Immagini dal web).
Il tagliapietre

Probabilmente un operaio che estrae la pietra nella cava. L' Insegnamento evidenzia la difficoltà del dover tagliare pietre estremamente dure come quelle usate per statue e costruzioni. Il testo dice che «dopo aver completato un cubito (52 cm) "di cose" (ḫ.t)» il termine "cose" è stato da me (ma non solo) interpretato come lavoro, pietra estratta pronta per essere consegnata (l'interpretazione "occhio" che a volte si trova è molto libera e dà origine a voli pindarici, secondo me, con scarse basi). Il concetto è che dopo solo 50 cm il tagliapietre è già stanco ma deve continuare a lavorare, così la sera quando cena non riesce neanche a reggersi in piedi.
Il barbiere

Sulla difficoltà nella traduzione della prima parte mi sono espresso già qui, quindi non mi dilungo.
Del barbiere la Satira evidenzia il fatto di non avere una sede fissa per poter lavorare, deve mettersi agli angoli delle strade e girare continuamente per cercare clienti, come l'ape che gira continuamente per cercare fiori; la sua paga, inoltre, è scarsa, dunque, similmente all'insetto, deve lavorare continuamente, altrimenti non verrà pagato; il barbiere dunque passa la sua giornata in un moto continuo affannandosi per arrivare a fine giornata con guadagni sufficienti appena per mangiare.
Faccio notare il determinativo della parola "barbiere" e "radere" che rappresenta fedelmente un antico rasoio.

A sinistra un antico rasoio (Immagine dal web).
Il tagliatore di canne (?)

Non si conosce l'esatta traduzione di questo lavoro, altre ipotesi sono "il pastore" (Bresciani p. 140 che lo definisce "pecoraio") od "il cestaio" (Manzini p.76). Di lui sappiamo che per lavorare deve andare nelle paludi del delta; il termine swnw indica "fare affari, commerciare" (sul Faulkner "trade"), non sappiamo dunque con esattezza in cosa consista il suo lavoro e la traduzione è congetturale.
Di certo c'è il fatto che il dover lavorare nelle paludi lo espone alle zanzare e ad altri insetti ematofagi (ḫmy le "sandfly" che ho tradotto come "pappataci"). L' Insegnamento evidenzia il tormento degli insetti ripetendo la parola sf (tormentare/tormento, appunto) "è tormentato dal suo tormento" ad enfatizzare il concetto. Sul finale il termine wd' può essere interpretato come "essere spezzato in due (dalla fatica)", ma la possibilità del termine "pustola" mi piaceva trattandosi di insetti succhiatori (ma forse è un'inesattezza, dunque va preso con le molle).
Il vasaio

Letteralmente "colui che fabbrica le brocche" (con il termine nds.t che si deduce dal determinativo), di questo operaio l' Insegnamento denigra la sua vicinanza con la terra.
La preparazione dell'argilla era un'operazione complessa che partiva dalla raccolta del materiale presso la riva del Nilo o i canali di irrigazione, il deserto vicino ai campi e le colline del deserto stesso.

Operai che raccolgono l'argilla. Fonte immagine: Wikipedia CC BY 4.0
L'argilla esposta all'aria si asciuga molto rapidamente. Di conseguenza, l'argilla spesso raggiungeva il vasaio sotto forma di grumi secchi e pietrosi (in particolare l'argilla marnosa del deserto) che dovevano prima essere puliti e mescolati con acqua per poter essere modellati. L'argilla grezza veniva anche essiccata e frantumata per rimuovere eventuali impurità di grandi dimensioni, come le pietre, passandola attraverso un setaccio. È a questo punto che l'argilla doveva essere reidratata e la massa, molto tenace, veniva impastata coi piedi.



I vasai impastano l'argilla coi piedi. (Fonte immagine: Wikipedia CC BY 4.0). In fondo immagine IA di un vasaio Egiziano (autoprodotta).
L'argilla purificata e rigenerata veniva utilizzata per fabbricare utensili in terracotta.
La Satira si accanisce su tutti gli aspetti del lavoro: la raccolta dell'argilla, il successivo re-impasto e la cottura.
Durante la raccolta viene evidenziato come l'operaio passa il suo tempo da vivo sotto terra, come i morti (anche se quest'ultimo paragone è sottinteso, lo si capisce dall'accostamento dei termini viventi e sotto-terra); viene poi paragonato al maiale (che si razzola nel terreno), è un paragone forte: il maiale era animale impuro per gli egiziani che lo mangiavano solo in alcuni periodi dell'anno e "già uno, se fa tanto di sfiorare un maiale passandogli accanto, va subito a immergersi nel fiume, così com'è, con tutti i vestiti indosso" (Erodoto Libro II).
L'impasto dell'argilla coi piedi lasciava inevitabilmente sporco il vasaio che, di conseguenza, sporcava ogni terreno o pavimento su cui camminava.
La cottura dei vasi poi avveniva presso la fornace ed il vasaio respirava l'aria calda fuoriuscita dalla stessa (esperienza sicuramente spiacevole) ed il calore cuoceva ed induriva anche l'argilla che sporcava i suoi vestiti rendendoli scomodi. Il riferimento alla "cintura in brandelli" può sottintendere sia quest'ultima azione del calore sui vestiti, che al fatto che il vasaio guadagna poco e non può permettersi di cambiare i suoi vestiti.
[Continua...]