Introduzione ed inquadramento storico

 

Per poter capire al meglio l’opera dobbiamo prima contestualizzarla storicamente.

Questo testo, risalente alla XII dinastia (Medio Regno), è uno dei più letti dell’Egitto del Nuovo Regno; ci è noto attraverso quattro papiri (il più completo e migliore dei quali è il papiro Sallier II), una tavoletta da scriba e quasi un centinaio di ostraka, tutte copie del Nuovo Regno.

Alla fine dell'Antico Regno (già col debole faraone Pepy II) i nomarchi (termine greco per ḥry-tp ‘3 sp3.t "grande governatore del distretto"), già potentissimi governatori locali la cui carica era ereditaria, accrescono ulteriormente il proprio potere; con la scomparsa dei deboli sovrani alla fine della VI dinastia (Merenra II, Nictoris) si arrogano anche titoli e diritti reali, compreso i "grandi nomi" iscritti nei cartigli, attuando quella che a molti storici appare come una forma di vera e propria secessione: è l’inizio del Primo Periodo Intermedio.

Sono i governatori del distretto Tebano ad iniziare una guerra di "riconquista" dell'Egitto diviso, tali nomarchi saranno inseriti in pieno titolo nella XI dinastia. È solo con Mentuhotep II (XI dinastia) che l’Egitto sarà di nuovo riunito, con capitale a Tebe (antica sede della XI din.), dal re "che riunisce le due terre" (sm3-t3.wi); con questo faraone gli storici fanno iniziare il Medio Regno. Lo stato, però, deve essere riformato nel profondo per evitare successivi tentativi di autonomia da parte dei nomarchi, il cui potere deve essere (e sarà) notevolmente ridimensionato; sarà, però, solo con Sesostri III (XII dinastia) che il titolo di nomarca cesserà di essere ereditario.

Al passaggio fra la XI e la XII dinastia possiamo immaginare che l’Egitto sia ancora in fase di trasformazione e, con esso, la sua società; non senza malumori, l'assassinio di Amenemhat I ne è, probabilmente, la prova. In questo contesto all’Egitto serve una nuova classe dirigente, che possa esercitare un ricambio di quelle funzioni un tempo ereditarie; è qui che si inserisce l’Insegnamento: si deve cercare di far capire quanto sia importante il mestiere di scriba, quanto lo studio possa dare benessere e far fare carriera fino alla "corte dei magistrati". Il fine dell’Insegnamento è quindi educativo e insieme politico, è fatto secondo la direttiva regale di comporre scritti diretti a guadagnare nuovi adepti alla professione di scriba (non legati con i precedenti nomarchi dissidenti) da inserire nella nuova nascente amministrazione. Se accettiamo che Khety provenga da Tjaru (una fortezza alla periferia del regno) possiamo dedurre che lo studio presso le scuole della Residenza Reale non era riservato solo a ricchi della capitale ma offerto, potenzialmente, a chiunque nelle Due Terre; questo almeno il messaggio lanciato, nella realtà l'alto costo di mantenere un figlio agli studi ne riduceva molto il target.

L'opera, in realtà, appare un po’ autoreferenziale: solo chi sa già (o impara a) leggere è in grado di gratificarsi col testo che gli rende noto quanto è fortunato a poter studiare. Il racconto rafforza il messaggio denigrando tutte le altre professioni, che appaiono tutte come un inferno sulla terra: "dolore", "sofferenza", "afflizione", "piangere", "miserabile", "essere spezzato in due", "stanchezza / essere stanco", queste sono le parole più frequenti nel testo riferito alle "altre" professioni oltre a condizioni degradanti, guadagni scarsi, sofferenza della fame, scarso rispetto sociale e punizioni corporali; il termine "contadino" è usato, in un passaggio del testo, come offesa. 

Parlando dello scriba, invece, Khety ne esalta la funzione, il rispetto che godrà presso la popolazione, la bellezza delle "parole del dio" che in quanto divine dureranno per sempre (ed in effetti l’Insegnamento stesso ne è la prova); il destino dello scriba, inoltre, sembra guidato dagli stessi dei verso il benessere assoluto, morale e materiale. Il narratore dà, però, anche indicazioni molto pragmatiche sul benessere economico che lo scriba raggiungerà nella sua vita, sui suoi guadagni e sulla possibilità di avvicinarsi all’élite della società egiziana.

Ecco quindi che Khety deve dare al figlio anche consigli su come comportarsi nei "salotti buoni" dell’alta società egiziana, rispettando il "galateo" dell’epoca (secondo il quale, per esempio, era molto maleducato alzarsi da tavola senza permesso), evitando le risse, evitando di sottrarre tempo allo studio, eseguendo gli ordini dei superiori con dedizione e senza scorciatoie. Il padre consiglia anche il figlio di farsi degli amici, non è solo un consiglio paterno per ampliare la socialità del ragazzo: essere l'amico fidato di un ragazzo di famiglia potente gli avrebbe consentito di diventare un suo uomo di fiducia e, dunque, di velocizzare la sua ascesa sociale; curiosamente non ci sono riferimenti alla vita sentimentale del ragazzo (a differenza dell’insegnamento di Ptahhotep). È costantemente presente la raccomandazione del padre all'impegno nello studio ed alla disciplina, ma se segue i consigli paterni, gli sforzi del figlio saranno premiati e lo condurranno in un posto speciale del mondo, garantendo benessere anche ai suoi discendenti.

Come opera destinata alla scuola, l’Insegnamento di Khety è stato mantenuto in uso fino all’età ramesside, insieme a un altro libro, la Kemyt (la Somma), preesistente all’Insegnamento e citato in quest’ultimo.

Gli sforzi degli scribi che hanno copiato l'opera ci hanno regalato un numero sufficiente di materiale da ricomporre il testo per intero. Le parole di Khety sono, quindi, state rese veramente eterne e durevoli come una montagna.